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lyrics

21 grammi

Gettalo nell’acqua il tuo pane,
i giorni in cui ne trovi non li conterai.
Spartisci con molti il tuo,
perché in terra ti è ignoto il futuro del male.
La nuvola piena di pioggia,
sopra la terra si scaricherà.
Cade un pezzo di legno a sud a nord,
la dove cade il legno resterà.
Chi sta a guardia del vento non semina,
e chi guarda le nuvole non raccoglie.
Tu che non vedi i meandri del respiro-.
Tu che non vedi il corpo nel ventre della gravida.
Tu che non puoi penetrare l’azione di dio che è tutto.
Semina la tua semente al mattino, e non ti cado la mano fino a sera.
Perché il buon seme non lo conosci,
può essere l’uno o l’altro o tutti.

Vestito mi sono di rose, quali e quante spine sulla pelle,
la pietra angolare della mia innata solitudine,
scossa da rimbombo di vento, o cannone,
scuoto la polvere alla finestra, da giunture che scricchiolano,
lavoro nelle mani rosse di badile,
cemento secco incrosta la schiena, curva,
eppure cuore assetato, pulsa,
sangue raffermo, come schiuma bluastra,
la massa attende inerte un semplice grido, un richiamo,
la massa scivola in strade bollenti, senza fiatare, attende.

C’è una dolcezza nella luce,
e fa beati gli occhi vedere il sole.
L’uomo di lunga vita,
trae i piaceri di tutti i suoi anni.
Tanto più penserà ai giorni della tenebra infiniti.
Tutto passa in un soffio.
Ragazzo goditi la giovinezza,
va dove ti porta il cuore,
va dove va lo sguardo dei tuoi occhi.
Ma sappi che per tutto
Dio ti giudicherà.
E getta via il tormento dal tuo cuore,
strappati dalla carne il dolore.
Perché è un fiato la giovinezza,
e i tuoi neri capelli un soffio.

Acida è la notte, un lampione danzante trema di luce fredda,
un bar abbassa triste la serranda,
i netturbini si preparano a raccogliere resti di ossa, fegati, cuori aridi,
gettati tra i rifiuti di una città che si decompone consumata.
Tempo chiede il quasi morto, tempo ancora per un fragile sorriso,
tempo per una semplice melodia di stelle, che la terra fradicia chiama,
ma lui il quasi vivo annaspa tempo che fugge, con braccia inerti.
Di certo sulle rive dell’Eufrate, una madre intona una dolorosa nenia,
qui dove io vivo, l’avverto nei miei 21 grammi di sentimento.
Un intenso e sperduto amore fluttuante,
si getta dalla rupe del mio silenzio,
come melodia in divenire.
Mia Madre, sapeva spiccare il volo, come respiro da cuore a cuore,
potessi ancora poetare baci sulle guance di lei fragile primula d’inverno,
Ma ora, in questo tempo inutile,
incontro persone mute, spente, fluttuanti, come fango di palude,
alcuni consumano e si riempiono di scorie putrescenti,
altri fingono d’essere oltre il muro dell’assenza,
ma siamo tutti avvinghiati ad un osso scarnificato,
la terra trema, la terra tuona, la terra….
La massa è un unico corpo fremente,
la massa deborda schiumante velenosa tra le pause di un verso.
E poi ci sono questi maledetti invertebrati che governano la massa di fango,
pallina che rotola inconsapevole nell’universo imperscrutabile,
che investono con missioni di pace oscene,
che propagano guerra e dolore come la peste del quattrocento,
topi untori che sguazzano nella melma, e ci costruiscono palazzi d’oro,
dalle fragili sabbiose fondamenta.
Ora ho la certezza che non sarò padre, che non avrò la pensione,
che indugerò sulla soglia indeciso se andare oltre,
che poeterò ogni barlume di speranza,
che mi aggrapperò tremante al di lei ricordo,
aurora flebile suono sommesso di respiro rotto.
E la terra trema, la terra, fradicia, la terra aperta, entrare in lei,
un orgasmo di beatitudine oscena.
Eppure anche questa notte sono spaventosamente vivo…

credits

from Qohelet, released November 9, 2020

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Alessandro Seravalle & Gianni Venturi Italy

Qohelet, non è solo un disco, ma a mio avviso un opera teatrale. Un disco che non ammicca a nessun mercato, che necessita d’essere ascoltato non in sala da pranzo, ma nel silenzio e al buio.

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